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Tony Shafrazi:
“Verso il 1980 ho visto per la prima volta le opere di Donald Baechler e sono rimasto colpito dal senso del paradosso e dall’ironia che emanavano. Donald era tornato da poco dalla Germania, dove avevo studiato e lavorava alla DIA Art Foundation mentre produceva le sue opere. Le illustrazioni che trovava sull’elenco telefonico e sulle riviste popolari gli servivano da base per le immagini intenzionalmente banali dei suoi disegni e dipinti, che venivano prodotti con l’uso di spessi strati di vernice a smalto. Il tutto emanava un’impressione di gettato via, ma io sapevo che non scherzava quando mi aveva detto che ‘un dipinto deve possedere il giusto grado di indecifrabilità per funzionare’. Lui sicuramente lo aveva. Poi, a un certo punto, Baechler cominciò a trattare i temi dei suoi stessi disegni come se si trattasse di immagini trovate altrove, e questi motivi divennero la fonte dei suoi quadri.
Pat Hearn:
“Quando nel 1983 aprii la galleria tra Avenue B e la 6a Strada Est, nell’ East Village – esponendo artisti come George Condo, Dan Asher, David Bowes, Milan Kunc, Thierrey Cheverney, Steven Pollack, Donald Baechler, Peter Schuyff e Philip Taaffe – eravamo nel pieno degli anni ’80.”
Paul Kasmin:
“Ho incontrato quasi immediatamente la gran parte delle persone che conosco adesso. Brice Marden, Francesco Clemente e altri mandavano un’infinità di gente a vedere le fotografie di Brancusi e io già cominciavo a conoscere artisti come Donald Baechler, James Nares, Peter Schuyff e Elliot Puckette, con cui avrei lavorato più tardi. Nel 1987 ero alla fiera di Basilea con Thomas Walter, che ha una delle migliori collezioni private di fotografia al mondo, e lui mi presentò il pittore Donald Baechler, che incontrai nuovamente a Londra qualche tempo dopo. Donald, a sua volta, mi presentò un’altra persona, il gallerista svedese Andres Tornberg, che era ssolutamente fantastico, e in seguito gente di tutti i tipi. Dopo di ciò, andavo sempre a trovare Donald nel suo piccolo studio sulla 3a Strada Est. Seguivo il suo lavoro e scattavo un sacco di fotografie; adoravo i suoi collage, i buffi piccoli disegni a inchiostro blu della serie sulla folla. Inoltre mia moglie Alexandra e lui erano ottimi amici e lei gli aveva fatto da archivista prima di tornare alla sua vera passione, l’architettura di paesaggio.
Si potrebbe dire che in alcune cose sono stato fortunato. Proposi a Donald Baechler: – Facciamo una mostra di disegni -, e lui acconsentì. Sapevo che Tony Shafrazi esponeva i suoi quadri, ma nessuno a New York aveva mai messo in mostra i disegni, nonostante fossero estremamente apprezzati in Europa. Shafrazi non la vide come un pericolo per i suoi guadagni, ma anzi come una cosa del tutto positiva. Fu venduto tutto.”
“Prima di tutto dò retta a certi artisti, poi ci sono i nuovi galleristi e alcuni artisti che sono anche insegnanti. Certi curatori possiedono un entusiasmo contagioso che amano trasmettere. Ascolto in parte anche i critici, ma con loro è un po’ più complicato. Certe volte hanno problemi a essere generosi con le informazioni. Ma se un artista come Donald Baechler mi dice che c’è qualcosa cui vale la pena dare un’occhiata, lo ascolto senz’altro. Donald va benissimo perché unisce i due mondi.”
Earl McGrath:
“Il collezionismo per me è stato sempre una cosa molto personale e più che un collezionista sono sempre stato un accumulatore: è come se le cose arrivassero da sole alle mie pareti. Fin da quando avevo poco più di vent’anni chiedevo: – Quanto costa? Se sono più di 50 dollari, allora ne pagherò 10 al mese. –
Colleziono anche opere d’arte che hanno a che fare con le dita. Questo perché da bambino ho perso un dito di una mano a causa di un incidente. L’ho raccontato a Donald Baechler e due settimane più tardi è arrivato un quadro intitolato Finger for Earl.”
Donald Baechler al lavoro nel suo studio
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